Pe (diciassettesima lettera)

PE (diciassettesima lettera)
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Costruisco cumuli di parole entrate male, assorbite
dalla pelle, come un veleno per topi ingoiato lentamente
dentro bicchieri di latte caldo mentre penso, guarda
come crollano adesso tutte quelle spiegazioni,
non c’è nessuno, non c’è più voce. Continuo a trattenere
ancora il fiato, la tasca dell’errore, lo sbaglio che ogni volta
non chiude questa bocca, la pancia. L’uccisione
è la parola a forma di coltello, quello da cucina,
il taglio netto, una vena dopo l’altra, giorno dopo giorno –
non c’è più sangue – contengo fiato sprecato adesso. Una iperlessia
mi sta tutta intorno, la trasmissione sbagliata forse
disconosce ancora il vero. Allora, non mi racconto più.
Mi scanso.
Divergo
Allontano.
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#alfabetoebraico
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Ayin (sedicesima lettera)

 

Ayin (sedicesima lettera)
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Uno strabismo volontario, il mio.
L’occhio torvo, guarda dietro e la parola [liquida]
ha la forma distorta del suo contenitore.
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Uno sguardo torvo, adesso, mi contiene,
non s’addensa la parola scelta, s’impiglia
soltanto per ferire. Mi prosegue una rottura
lo spacco più grande del suo contenitore,
l’asfalto trema e perdo l’equilibrio, cadono
puntellature esplose dall’interno. Rinascere
vuol dire chiedermi chi siamo, questo
numero incerto, contato male, un’origine
caduta sulla parte offesa. Non c’è perdono,
non c’è tempo che possa assorbire, rimane
un fil di ferro intrecciato in fretta.
L’occhio giusto adesso è affetto da miopia,
la rifrazione non mette a fuoco i giorni esatti.
Oltre la fessura delle palpebre non vedo,
uso lenti scure, indosso dispiaceri diffusi,
sono questo mucchio d’ossa cadute intorno. Alzo la testa, cerco il varco. Tu sai guardare,
mi dicono. Devo imparare a respirare.
Mi incammino.
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#alfabetoebraico

Samekh (quindicesima lettera)

 

La colla la maniglia –
l’appiglio – la risposta
quando sta nel cerchio.
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Ho imparato il giro, i millimetri sono spazio stretto
il collante non può reggere tutto il peso e allora
mi faccio silenzio, non so se riesco ad essere maniglia.
La risposta nel cerchio è tempo interrotto, strappato
dal muro, pareti intere d’indifferenza da trapassare
intanto che mi bussa il mondo, combatto
battaglie
cieche e sulla soglia non mi sporgo, aspetto, ripeto.
Rimango aggrappata alla notte, spesso, la mano stretta
a pugno, solo una feritoia consentita per la luce
il sogno rimasto addossato alla fatica, ancora,
senza direzione senza cucitura, i pezzi mancanti
da ristabilire. Mi tengo scritta per non cedere eppure.
Ogni giorno
Mi rialzo.
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#alfabetoebraico

Nun (Quattordicesima lettera)

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Nun
(Quattordicesima lettera)
#alfabetoebraico
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Guardami, sono io l’inciampo, la caduta
un pesce rimasto senz’acqua, senza luogo
senza più nulla di ciò che gli era appartenuto.
Mi dici impara, da questo peso deformante
mi dici torna, alla consapevolezza del bene
ma lo spazio tra le lettere è muto, non attende.
Mi dice la distanza, la piega del collo invece,
il passo indietro per sottrazione, la cura
è un vaso rotto, senza sutura ogni taglio.
Risalgo, rallento, da troppo tempo ferma
e disattenta, fino alla prossima buca
guardo dove metto i piedi, le mani, le parole.
Riprovo.
Ricomincio.
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#alfabetoebraico

Mem – tredicesima lettera

Mem – (tredicesima lettera)
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Trentotto, il numero da moltiplicare per quaranta –
l’aderenza del veleno alle spaccature – per l’esondazione senza distillazione.
L’armistizio, prima dell’indulto.

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Ho guardato per anni l’esondazione, l’avvelenamento,
la contaminazione delle cose che credevo di proteggere.
Quaranta settimane per sentire un suono sordo che non so
se può chiamarmi per davvero, le quaranta moltiplicazioni ripetute
senza il giudizio della purificazione, soltanto per ripetere l’errore.
E non ho imparato neanche la distillazione, sono io la causa
del veleno, senza antidoto ho fatto piovere non pensando allo straripamento
al riassorbimento di tutti i tempi stuprati, ho chiuso l’uscita, perché
quel veleno non entrasse ancora; aderisce alle pareti, fa spessore, ora.
Qui dentro sono tutta a pezzi, la spaccatura ha rotto gli argini e guarda
tutti i miei peccati adesso, questo poter credere di creare, invece
di trasformare ciò che non si plasma, le braccia stanche, la fatica
di stare sempre in una eterna notte, la paura del buio quando
sta cambiando anche me, lo vedi? Adesso sto crollando piano
nel silenzio dei giorni, sotto strati grezzi che sto mettendo in riga,
pagina dopo pagina, lettera dopo lettera per arrivare a comprendere
il significato vero, il posto giusto che mi faccia restare.
Mi accordo.
Mi fermo.
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#alfabetoebraico
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