Avremmo potuto

 

Avremmo potuto essere noi quelli che al mattino ridono appena svegli, le tazze sul comodino, il letto sfatto, resti di me e te addosso e uno spazio stretto; a piedi nudi intrecciati tra i cuscini intanto che la pioggia fuori torceva i suoi cicli, a noi sarebbe piaciuto guardarla cadere, in piedi in silenzio. Chissà se avrei messo la gonna a fiori, sicuramente saremmo andati al cinema, mi avresti baciato una volta spente le luci e poi anche alla fine, avresti baciato ogni lacrima caduta perché io sono quella che si commuove; ce ne saremmo andati a bere qualcosa, per mano, di corsa, sorridendo, perché avremmo aggiustato tutto, ogni parte sbeccata che ferisce ogni volta, adesso, mentre tocchiamo sempre sullo stesso punto.

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(Ph web @kurturtava on twitrer)

Quasi per sempre

 

Mi porto dietro il peso del tempo mentre
nella foto mi stringi le mani, c’è un’ombra che disegna un pezzo perduto chissà dove; più in là due ragazzi che si baciano nell’unica panchina in mezzo alla piazza, intanto viene sera e ce ne andiamo via in bicicletta verso casa, verso quello che avrebbe dovuto accadere quando le scelte sono delle corde grandi, quando ti trascinano in modo stupendo attraverso gli anni, accorgendoti alla fine che bastava un attimo, un abbraccio, solo appoggiare la bocca tra l’orecchio e la spalla per restare lì quasi per sempre.

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(Foto dal web @kulturtava on twitter)

Cosa ricorderemo

– Non voglio fare la rima e dannazione non ci provo neanche –
Non esisterebbe alcuna rima anche se tu fossi dove voglio andare. Tu sei la musica che ho ritrovato al posto giusto, lì dove non è mai guarita la ferita. Dove la fenditura è luce esatta, l’immagine sfocata è voce che ripasso nella testa ad occhi aperti. Un gergo familiare, una bocca chiusa dentro la stretta di un abbraccio, “non andartene” è come farsi ancora male, abbiamo perso le promesse, ci rimane l’istante di due righe.
Ci coincide il silenzio dei giorni lunghi, l’urto del mondo che sbatte addosso questo tempo spinato, scaduto, scandito dai tasti, ci si intuisce.
Cosa ricorderemo alla fine?
L’orma delle mani, l’odore dello spazio tra il collo e la spalla mentre il mare cura tutto quello che non potremmo gridare mai più.

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Lei

 

Ti hanno educato a ciò che è giusto, a quello che devi quello che il tempo rimette a posto ma è più un rigurgito il tempo. Quello che è stato che hai visto e vissuto s’incastra tra le mani, sulla testa, addosso misura, ti misura lo spazio – stretto – in cui giri a fatica un quarto un pezzo solo di vita cresciuta. A che serve? Non ti ha insegnato niente. Non ho imparato niente. Tenevo con le mani un filo oggi intrecciato, una matassa di voci senza nessuno, ogni mattina disfo i nodi e il pettine non passa, sgrano ogni parte senza scordarla. Mi rimetto in piedi. Guardo fuori, aspetto solo le stagioni senza più pretendere e sul confine lascio tutte le parole cadere dalla siepe.

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“All of me”

 

Sarebbe tardi, bello, stupido come rimanere sott’acqua. Sarebbe il rimpianto di ieri, un bacio rimasto tra lo stomaco e la voce. Un “ci sentiamo dai” sì certo – ma ti sento lo stesso mi senti lo stesso – anche in silenzio anche se piove, ogni volta che torni e il luogo ti sbatte addosso gli anni scorsi.
Rimaniamo sul filo sul serio sul foglio. Su quello spazio bianco tra il punto e la forma di un nome lasciato a metà.

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https://youtu.be/450p7goxZqg