Ognuno può diventare soltanto se stesso

Ormai per il freddo tutto è chiuso. Per via dell’autunno sì, arrivato così da un giorno all’altro senza nemmeno un po’ di pioggia un po’ di cielo scuro insomma senza far immaginare nulla, soltanto la seconda metà di ottobre ecco, giusto quella.
Guardi fuori dalla parte del mare, verso est, che poi il mare non lo vedi comunque perché ci sono le colline, gli altri paesetti la terra e tutta terra cielo terra e cielo ancora e ancora e lì ti viene da pensare. Ti ricordi cose, persone di una vita fa in cui eri talmente diversa da non sembrarti neanche tu. Eppure.
Tu eri quella che. Quella che il tempo oggi ha piegato in quattro.
Non ti vedi più.
Aspetti ogni giorno guardando più a nord, la prima neve i primi passi le prime parole, non c’è più alcun dubbio, non c’è mare. Tanti gli errori, forse qualche rimpianto.
Un come stai perché vatuttobene.
Adesso sei spazio tra le righe, cancellate poi riscritte, mille anni divisi in due parti del prima e dopo.
Ti ricuci ogni notte. Ago e filo una trama che di giorno si disfa. Poi un passo avanti all’altro lo sguardo basso il respiro corto nell’aria fredda sempre e i giorni in fila, anno dopo anno però tu ferma dove è cominciato, chiudi gli occhi e in quel mondo parallelo sorridi, perché te lo ricordi bene, ancora.

©LaScrittoressa

(Paragrafi)

[Appunti del non viaggio]

Chi sei

 

Chi sono io?
La Marlboro con i Police nelle sere d’estate, sullo sfondo di un piccolo Borgo che guarda l’orizzonte oppure la corsa delle mattine fredde tra i muri scrostati.
Il tempo trascorso, mille me andate mai ripetute chieste indietro senza averne mai più, chi cerco alla fine è soltanto una parte, non ha silenzio, non ha lo spazio. Coagulata in mezzo a grumi di parole dette dagli altri, luoghi calpestati senza impronte soltanto ore alternate agli inverni e ogni tanto un po’ di mare.

(paragrafi)
(Appunti del non viaggio)

©LaScrittoressa

[Michele Mobili Photo – Elisa Gelosi Model]

Quella metà della vita

[…]
“Sì che ci credevi. Ci credevi come quando hai quattro anni e tuo papà ti dice che sei un campione, o come quando tua madre ti dice che ti vuole bene.
Ci credevi alle cose, alle persone, a quello che accadeva. Agli uomini credevi, a quelli vestiti bene, perché con la cravatta tutto era più composto, anche l’assurdità di certe affermazioni.
Pensavi che dietro un bel vestito ci potesse essere una maturità priva di bugie, una consapevolezza buona a costruire, un futuro, un pezzo di vita insieme, magari chiamata pure famiglia chissà. Ci avevi creduto, e sorridevi. Sorridevi alla vita meravigliosa, alle cose belle, al sole che filtrava dalle fessure delle serrande nuove, dell’appartamento nuovo, arredato con mobili nuovi, le tende nuove, ogni dettaglio scrupolosamente studiato per essere perfetto. Perché era come nelle favole, la casa delle bambole, quasi tua la casa e bambola tu, quella bella, quella con i capelli lunghi, con i capelli biondi.
Non ti ricordi di preciso quando è stato il momento in cui qualcosa è caduto, senza rompersi subito certo, ma si è andato sgretolando pian piano. Ogni giorno lentamente perdeva qualcosa, anche il silenzio della casa nuova che era bello, perché pieno, perché nuovo, perché ti aveva reso grande ormai, abitando con tuo marito, un marito che non c’era più come prima o forse c’era come prima ma sembrava non ci fosse affatto.
Allora hai cominciato a tenere la radio accesa, notte e giorno, così che il silenzio s’arrotondasse un po’.
Con la musica però la mente girava più veloce, le immagini correvano dietro alle canzoni, traccia dopo traccia, giorno dopo giorno, fin quando hai deciso di smettere, di vivere i tuoi vent’anni, di lasciare le domande nel lavandino e uscire per capire quella parte del mondo rimasta a metà.
Te lo dicevano che non sarebbe stato facile ma tu non davi ascolto mai a nessuno che non fosse la tua stupida testa.
Sei andata fuori, fuori città, fuori di testa, fuori luogo, fuori dagli schemi che tutti abbiamo, intanto che le stagioni passavano, le cose restavano imballate negli scatoloni, la vita diventava liquida, gioco, notte, fumo, spazi immensi in alto sopra le rocce ferme.
Hai gridato, forte, hai imparato a respirare, piangere meno, correre più veloce, ridere sul serio, ascoltare le voci, le confidenze, il vento che girava intorno la casa, un’altra in affitto poi, sulla cima, tra gli alberi e gli scoiattoli che la mattina traversavano la stradina dall’asfalto rovinato, pieno di buche, l’odore di un tempo quasi immobile, quasi sospeso, senza un confine da guardare dalle finestre troppo piccole, gli scuri troppo scuri e le stanze troppo brevi.
Hai ricominciato, dopo il cavalcavia, dopo un giro di primavere, dopo il freddo che fa la neve in un posto tanto alto, hai saltato i dispiaceri, azzerando ogni distanza con il mare, gli scatoloni sempre appresso, ogni pezzo avvolto nella carta di giornale, le notizie vecchie nei bicchieri nuovi, e sei tornata a cercare niente, un’altra casa bianca, un altro posto solo, un altro tempo che potesse riavvolgere tutto il nastro lacerato, il recupero degli anni passati a domandarsi con la testa dritta di fronte ai vetri chiusi, invece no. Non hai recuperato niente perché le cose vanno, accadono, si ricostruiscono, si sbagliano, svaniscono, ti cadono addosso e in tutto questo non puoi fare altro che riconoscerti, senza mai perderti attorno lo sbaglio più grande.
Perché non è la verità ad essere sbagliata, hai sbagliato tu a prenderne una che non somigliava affatto al tuo modo di amare la vita.
[…]

– La storia di Sara

(Paragrafi di racconti)

©LaScrittoressa

Del dopo terremoto

 

Disarma questa luce dopo le sei come l’aria calda del giorno prima.
Le facciate delle case specchiano il bianco del cielo spopolato come un’anima senz’angoli a ore.
Tutto può crollare ma noi no.
Tengo stretta ogni trasparenza ogni ferita sovraesposta e cammino sulla linea bianca di confine, attenta a non perdere il sentiero.

©LaScrittoressa

(Paragrafi)
[Appunti del non viaggio]

I tuoi novembre

 

Sempre un passo indietro.
Hai smesso di correre a piedi nudi da un po’, gli abiti lunghi a toccare terra per rallentare i mesi e poi lo sguardo più in basso o poco più su perché hai visto abbastanza perché sei stanca perché grazie ma basta così. Le giornate brevi adesso dilatano il buio, la luce a ore s’innerva tra lo spazio ormai di un solo colore. Piove.
Non è ancora inverno ma non sai quale giacca mettere, non fa freddo fuori solo dentro. Ogni tanto c’è vento speri che non sia per tre giorni, intanto come un giocatore di poker tira le sue carte, foglie morte nel tuo cortile e non ti ascolta quando gli ripeti che non puoi più giocare.

©LaScrittoressa

(Paragrafi)

[Appunti del non viaggio]