Life in –

 

I miei piedi non hanno mai toccato terra –
ti ricordi quanto rumore fanno i pensieri? –
è vero, il tempo è una pistola carica – speravo di andare lontano,
invece mi sono allontanata restando qui.
Ma la luce in fondo la strada sarà sempre il bersaglio dove vuoto ogni volta il caricatore.

 

(Paragrafi)

Dal testo dei Coldplay “Life in Technicolor

Se fossimo stati

 

Chissà come sarebbe stato
aprire le porte di una casa nuova
metterci dentro ogni giorno
metterci uno dopo l’altro
e volere la stessa cosa –
un disegno
un accendino
il colore di quei giorni
senza le parole
e Vasco mentre bevi.

Verso casa

 

Un giorno ti accorgi che è quello dopo.

La sensazione è la stessa del lunedì mattina, che non si capisce perché ma è sempre un inizio che parte a strappi. Anche se non lavori, anche se lo consideri tu come una domenica non funziona, è sempre lunedì.

Così certe storie,  arriva il giorno in cui ti guardi intorno e cerchi qualcosa, non sai bene cosa ma sei sicura di averlo perso.

Si confonde il tempo, le gioie diventano sfocate, si resta a guardare fuori dai vetri. Il confine cambia, la luce si sottrae, arriva sempre novembre da lì a breve e tutto si ferma. Un po’ come una ruota che d’improvviso scricchiola, lascia un giro, poi due e si blocca, tra l’aria fredda che le passa attraverso.

Ecco, ci si trasforma,  in un silenzio fatto di accondiscendenza,  di consuetudini,  di automatismi doverosi senza più domande. Soltanto la notte, quando il silenzio si fa più scuro, si ritorna indietro, un giro nel tempo in cui l’importanza di uno sguardo era presenza.

Poi l’alba, lo schiarire, il cielo infilato dai pini mentre ottobre t’inganna, l’aria ti tira dalla parte opposta e tu ancora in silenzio.

Uno strappo, la toppa, l’odio da una parte, il verde, l’autunno, è freddo, le crepe, i grigi, la pioggia, il vetro spesso, la stessa strada fino a casa. Poi ancora le case, degli altri, loro, i fiori, i portoni chiusi, il bianco e nero dei vicoli.

Fermo.

Il ritorno di alcuni, immagini che vanno all’indietro, chi sa, chi non capirà mai e nel mezzo la sera, a strisce, sui fili e dietro un controluce e poi,  le curve, il verdenero, il marronescuro, lo spazio stretto, un controsenso senza il rosso.

Non è l’autunno, non si chiamano stagioni.

Il diradarsi della luce è una speranza.

Il voltarsi dalla parte del sole una promessa.

Ma tu rimani lì,  con i piedi fermi, gli occhi chiusi, il fiato corto  e un banalissimo vatuttobene.

 

(Paragrafi)

 

(Photo di Marina Baldoni)

 

L’estate, quando finisce prima

 

C’è qualcosa che fa terminare prima l’estate, i girasoli tagliati ad esempio.
Il cielo continua a dire ciò che vuole ma l’autunno è soltanto un attore che inventa bugie, piene di sole e colori d’arancio.
Ho bisogno di altri colori, come il blu del mare. A settembre è spazio, aria, fine di corse e urla di gente. Diventa pace, riflessione, terraferma.
Il luogo dove restare, dove tornare, dove ricostruirsi.

 A riva le onde s’addensano come ciò che t’investe. L’accaduto ritorna ma si mischia e ti alleggerisce.

Ai piedi della montagna invece cadono i luoghi non visti, li racconti lo stesso, immaginando come sarebbero stati, viaggi di carta, posti che i giorni proiettano su questo confine in cui rotolano stagioni, verde, grigio, bianco, soltanto tre perché per due rimane chiara, e guardo il fluire, di tutto, non lo scivolare ma l’aggrapparsi, con le unghie per cercare di non cadere.

Tutto in un tempo indefinito, in sospensione.

Poi piove.

E allora nello specchio del suo riflesso, una pozza profonda, un poco alla volta, annego, con la bocca chiusa.

(Paragrafi)