Di ogni cosa, un peso.

“Pesa, il nostro noi,

sopra un tempo che rimane,

la misura di una vita scalza

e l’anello, sulla bilancia.”

 

 

Di ogni cosa, un peso.

Leggerezza dei vent’anni quando la misura mai ti frena, quantificarla oggi sui quaranta, non gestiti, arrivati come un fermo.

Raccogli pezzi, in sacchi chiusi, fuori casa. Poi fantasmi ai vetri che battono di notte, quando la luce muore e non c’è più confine.

S’amplifica il suono, come un bemolle tagliato e ritorni bambina,

con le scarpe slacciate, la gonna corta, ad inciampare su sassi,

grossi come paure

dentro vuoti a perdere.

(Parentesi)

Parole

“Il troppo silenzio fa chiasso dentro.

Come il bianco di una stanza, quando d’un tratto forzi l’uscio, per vincere il vuoto.”

 

Spazi, lasciati bianchi e senza nomi.

Come una giostra ferma, cigola in un silenzio che fa spazio, sordo per chi passa e non vede.

Svuota parole questa tua assenza.

Ti ho visto sparire piano, tra quello che non dici e quello che agli altri, non fai mai mancare.

Era bello vederti dipingere, le tue tele a parlare dentro quei viola e di vetro. Ora bianco, senza sentirti tutto perde colore; bianco di luce ferma, bianco di suoni a basso volume, bianco di noi che nell’inchiostro, avevamo trovato un colore.

Non sarà mai uguale a niente, quel niente che mi riempiva di te.

Guardo le parole e lascio scorrere, lascio silenzio, scendo e ti osservo ballare; lascio il tuo tempo, lascio la foto sgualcita di un pomeriggio d’aprile dentro un album di ieri.

La sera di ieri

La sera di ieri

La sera di ieri

Quei passaggi che specchiano l’ovest e respiri già lo spazio lungo dell’estate, quei silenzi sfrangiati dalle cicale che odorano di grano colto.

Ci sono luoghi in cui il sentirti a casa è un ritorno indietro, a quando volevi lasciarla per conoscere il mondo.

Oggi che sei più di ieri con meno tempo, hai più parole spese e immagini impresse che colorano le mattine ai paesi non tuoi. Sorrido, per non permettere a nessuno di compatire, perché non voglio chiedere, non mi accontento.

Sono l’altra parte che aspettava, stanca di farlo.

Ritorno nel gioco, sono mancata per un po’ di tempo, riemergo e prendo fiato, piano, a piccoli sorsi per non esagerare.

Sarà il dopo di “quel tempo che precede”, da qui in poi.

(Paragrafi)

(luglio 2015)

L’altra foto di noi

“Sai farmi l’amore con le parole,
tu
che mi spogli, di me,
intanto che il buio
graffia
l’altra foto di noi.”

No, non posso guardarti.

Perché ogni volta inghiotto un respiro che mi fa mancare l’aria dentro.

Poi ti leggo e immagino di sentire la tua voce, profuma di tempo sospeso, di sigarette accese dentro notti insonni.

Immagino tutti i giorni che hai vissuto, li guardo come in un racconto.

Poi guardo me, i miei, bruciati, strappati, fuggiti, bevuti, scuciti, rattoppati e ritornano gli stessi odori di fumo e acciaio, quello che scotta la lingua, poi i suoni, i balli sopra i giorni da cambiare, non come previsto.

Pezzi che non combaciano, come parallele, ad inseguirci in questo ultimo girone, noi e se inferno o paradiso rimane, non sparire.

Non potrò mai toccarti ma almeno lasciati guardare mentre cammini, più in là, nella tua striscia chiusa, da cancelli di scuse.

(Paragrafi sparsi di racconti incompleti)