Controluce

Dalla parte del mare la collina ancora spoglia confonde.
Controluce appoggi una mano al vetro freddo, qui la neve è vicina, l’aria arriva sfacciata e si attacca alle pareti alle piante ai fiori del ciliegio selvatico che rinasce, ogni anno, ogni volta, dopo la neve che lo ha piegato, lui resiste.
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[appunti del non viaggio]
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Diciannove marzo duemilaventi

In questo spazio costretto mi ricordo i ritagli del tempo, le passeggiate al mare, i compiti la sera quando tornavi, il cambio del giorno nel calendario a cubi, la storia del gatto con gli stivali letta da te dalla tua antologia grande, per farmi rimanere a letto che io ero quella sempre con la febbre alta.
I sorrisi, le delusioni di più perché sono anche quella che non dà mai ascolto e poche volte ci azzecca.
A te lo voglio dire che andrà bene perché la paura negli anni diventa un buco nero ma noi, noi tutti quanti abbiamo ancora tanto da incazzarci e sorriderci, perciò auguri, auguri a te che mi hai insegnato il cinque maggio di Manzoni, che mi hai spiegato la bellezza del mio nome, Silvia perché anche Leopardi sai. Le ore dell’orologio a muro per riuscire ad avere quello da polso, pedalare in bici per riuscire a comprare quella più grande, l’importanza del pane, la preghiera della sera ed il senso della domenica mattina, la lettura dei libri ma soprattutto l’onestà e la sincerità. Questo non mentire mai, questo essere senza il filtro tra testa e bocca dove tutto il pensiero cola diretto senza un fermo. E te lo dico sempre che non va tanto bene però siamo così io e te, piuttosto scoppiamo dentro ma le cazzate non ci vengono bene per niente e allora che vivessero gli altri nella finzione delle belle facce. Noi le parole ce le diciamo, tutte quante, il tempo di stare zitti lo lasciamo a chi non avrà mai niente di meglio da offrire.
♥️
Auguri

Scarti di adolescenza

 

Il buio per me non rassicura.
Ogni promessa mai mantenuta ha il segno verticale della gabbia grigia dalla finestra sola, l’ombra rimane a righe e io ho allungato le mani tre volte al serpente che tagliava le vene di ogni braccio femmina.
Non potrai più scrivere aveva detto a me, eppure ho cercato di guarire come potevo, toccando le ferite ad una ad una per sentire se davvero mi avrebbe fatto male ancora, senza mai davvero sanguinare.
Sono un vuoto che fa eco allora, adesso urlo al mondo da una carta bianca, lo strappo di quegli anni, lo sterminio di un amore maltrattato e ti dico che sono ancora viva, sono il taglio netto nel punto esatto, quello più stretto dove gira la clessidra vuota, ferma al quattro marzo del novantacinque.
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[appunti del non viaggio]
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©LaScrittoressa
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[Photo by Michele Mobili in Photo Elisa Gelosi]
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Paragrafi

Mi spoglio come l’ultimo mese dell’anno e rimango a mani vuote mentre penso che no, non li voglio vedere loro, quelli perfetti, quelli che sanno e non sbagliano e non credono ma vedono e non si dimenticano perché ogni cosa è meglio non toccarla, lasciarla com’è e dove sta. Non saremo mai simili mi dico, io sono quella che stravolge le righe, che sconvolge le cose e cambia verso quando il verso non è più quello giusto. E allora mi faccio silenzio, mi faccio meno ingombro, mi tengo il poco spazio concesso mentre voi camminate guardando indietro, con il collo attorcigliato per giustificare un’assenza con le mani giunte per fare finta di pregare. Io vado avanti invece, cammino schivando una buca e l’altra, mi aggrappo alla terra mi risollevo da sola come sempre, come tutte le volte che sono caduta.
Ma guarda che bella questa strada in salita non c’è quasi nessuno ripeto e come mi somiglia questo posto, è pieno di cose rotte e tagliate buttate via eppure c’è ancora spazio, incredibile.
Mi piacerebbe raccontare della cima ma prima che scopra la discesa cerco di non fermarmi tra una lamiera e l’altra ché tagliarsi in due è un attimo e lo so bene.
Nei giorni più freddi non fa più quel freddo vero, l’aria mi passa davanti spavalda, scelgo il cappotto leggero perché il peso, sulle spalle, ha già la fatica degli anni che non so.
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[appunti del non viaggio]
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Di libri e pensieri sopra

Ecco, io come Nina.
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Sono quell’orchidea sfiorita, nel suo vaso chiuso.
Questo sentire il doppio e restare silenzio.
Ho le spalle nude io. Ed il peso, di chi può nascere dove vuole.
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[Appunti del non viaggio]
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Grazie a Enrico Galiano  perché dentro i suoi libri ci trovo sempre pezzi di me lasciati in giro negli anni.
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