Kaf (undicesima lettera)

 

Contengo cumuli di macerie
Trattengo ogni cosa sul punto di cadere
E sul precipizio apro le mani, rientro.
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Misuro con le braccia quello che non riesco a trattenere.
La forza con cui contengo ogni cosa sul punto di cadere
con cui ho sempre accolto ciò che mi ha fatto male
è diventata nudità internata, una trasparenza manomessa.
Il linguaggio delle mie mani adesso, è scoperchiato sulle righe
e ad ogni dito sanguina la cicatrice corrispondente.
Guarda, mi dico, sta scorrendo via dal palmo aperto
questo tempo perduto, ritratto e calpestato male,
il mio cammino sbieco legge ogni caduta ogni traversata.
Mi aggrappo così ad un silenzio alla volta, come memoria fissa,
a quelle fotografie chiuse nella scatola di legno
le immagini divise in anni, la distanza – tutta nello spreco del dolore –
i danni delle parole, l’espulsione dalla sporgenza.
Rientro.
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#alfabetoebraico

Iod – decima lettera

Iod
Decima lettera
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Di questo altro
La preghiera silenziosa
Che tiene in vita.
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Riconto gli anni oggi, ognuno in fila
notte dopo notte mentre penso, non
mi sono mai sentita grande per davvero.
In questo spazio occupato e chiuso
ho imparato l’alternanza, l’indifferenza
che permane sopra ogni strato, quella
che non puoi recuperare. Rimango figlia,
madre inesperta, in ritardo sulla luce
con tutti i danni sulle spalle e adesso,
solo con due mani nude a cacciare spettri,
soltanto due per sostenerne sei
nel miracolo che si sporge, che cresce,
cercando di non farci troppo male.
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#alfabetoebraico
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Tet [nona lettera]

Non sono più argilla adesso
Contengo mancanze
E ventisette mesi di rinascita.
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Questa distruzione ci ha sedotto abbastanza, eppure –
ogni volta l’origine del peccato, ogni volta una rinascita – il bene
che mi è arrivato addosso non avrei potuto comprenderlo da sola,
mi sono plasmata troppe volte io per tornare intera
adesso la rientranza ha l’argine rotto – troppo alta è l’uscita –
la pancia contiene tutto il peso della roccia e le sue domande
si sono snodate lì dentro su ventisette mesi di risposte non udite
non raccolte abbastanza, ogni volta una caduta.
E sono tre le parole mi dico, l’unica scritta mai più detta
ne ha lasciate tre, fatte di nomi propri, rinunce e di colpe.
L’assenza è tutta intorno come sempre e dentro,  manco solo a me stessa.
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#alfabetoebraico

Chet [Ottava lettera]

Chet – Ottava lettera
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Mi faccio spazio nell’invisibile
Per imparare a vivere allo scoperto
Con la colpa di aver trasceso la metà giusta.
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Sono qui.
Sono arrivata fin qui masticando parole avanzate
con la colpa di aver trasceso la metà giusta, quella
che per tutti loro sarebbe dovuta rimanere com’era.
Mi sono adattata alla curvatura della forma di questo posto come
un sedimento calpestato male, un ingombro per un luogo
a cui non sarei dovuta appartenere.
Un’asfissia che indurisce, diventata capacità glaciale.
Ma dimmi, lo sai davvero cos’è che significa restare?
Inghiottire e sperperare tempo malato ti dico io.
Ho imparato una resistenza sconosciuta ora, millimetro su millimetro
per ricostruirmi intera e adesso, dall’osso, voglio ritornare voce
farmi spazio nell’invisibile con il mio magazzino di sbagli,
con tutte le righe in fila per cercare un perdono,
per sapere come si può tornare a vivere allo scoperto
per ricominciare dalla fioritura, troppe volte andata male.
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#alfabetoebraico

 

Zayin (settima lettera)

Zayin
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La differenza per sottrazione –
un tempo tagliato prima
dell’ago che ricuce.

Tutti i tagli in fila sette volte ripetuti nella memoria forata al centro.
Sono stata fenditura e pugnale, guerra giusta nello sbaglio delle cose –
– guarda come sfinisce questo calco adesso la lama – un’incisione che sanguina, la mia, un grido ripetente ormai.
Lo spazio stretto non fa da sponda, le discese bugiarde sono risalite scure,
mi riconsegnano all’adattamento, alla sottrazione, alla differenza.
Questo tempo tagliato prima
i punti scuciti
gli aghi spuntati in verticale.
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#alfabetoebraico