E poi, le sere. In questo giro di tempo che torna, tutto insieme, tutto d’un tratto più grande dicono.
Il mio no, è sempre uguale, più corto forse, più colmo, più calmo.
Le luci si accendono più tardi adesso, la sera si riversa sul ciliegio selvatico e sul pino grande di là mentre mi chiudo più dentro mentre mi chiedo chissà che non vada bene così, in fondo.
Sta diventando caldo ormai, giù nel fosso le rane gracchiano nel buio delle nove e l’odore di terra arriva, umido dai pantani dei campi incolti.
Pochi i rumori qui dove la via finisce nel capanno, niente arrivi d’auto dei condomini ancora a casa ed il confine non è poi così male in estate penso e allora devo solo aspettare, aspettare la riga che richiude tutto questo luogo rimasto aperto. Tutta questa verità poggiata sulle mani stanche che lascerò rotolare giù nella discesa folle, sempre verso est, lì dove nascono le cose.
E non sarà più leggero il peso, le delusioni sono anelli di ferro attorno al collo, sarà forse un riconoscersi davvero dopo tutti questi giorni che non mi hanno vista mai quella giusta, sarà la spiegazione di ogni silenzio scelto che nessuno fino ad oggi aveva tradotto mai.
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[appunti del non viaggio]
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