Ghimel 2 (un anno dopo, secondo ciclo di scrittura ebraica)

 

Ghimel 2 (un anno dopo)

La strozzatura della parola resta segno nero sulla porta.
Vorrei consegnare al mondo la verità vera, soltanto
perché capiscano un’altra volta ancora. Ma perché?
In fin dei conti, mi dico, l’umiliazione collettiva è una provincialità
della provenienza, e adesso, io non ho più la mia, troppo lontana
dalla prima, non appartenuta mai davvero, questa. Allora rammendo
lo strappo vecchio, un laccio emostatico annodato bene
e poi, guarda, il secondo vestito che bianco non avrebbe
dovuto essere, adesso è seta sparpagliata, aggiustata
alla meno peggio. Una foto sull’album squadernato, riciclato,
la verità caduta come sasso e questo essere in rivolta perenne,
vedi che è solo e soltanto pura ostilità per la resa.

#alfabetoebraico2

Nella parola

il male che è entrato nella parola stride ogni volta come un’unghia sulla lavagna nera.
impara il silenzio dei vivi che sanno, mi dico, mentre credono alla tua inadeguatezza, soltanto ignoranza dello stare al mondo.
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#frammenti

Bet (2)

 

#alfabetoebraico2 2022

Bet
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Non torno perché non sono mai partita.
La conca scavata è diventata piena –
butta fuori immagini strozzate adesso –
più che altro di indifferenze e fotografie.
Non posso adattarmi ad una curvatura
non mia, non mi calza, non mi segue.
Tutte le cose perdute sono chiuse
in un cofanetto giallo, dal nome sbagliato,
io che continuo a scomparire dietro ai vetri
senza che nulla accada per davvero.
Un ristretto vivere quando non ce n’è
di più, non c’è nemmeno un plurale vero,
soltanto una seconda persona singolare
e un silenzio addosso sempre più grande
ogni giorno più grande.
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#alfabetoebraico 2
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Alef – secondo ciclo – scrittura ebraica

 

Sono passati anni, questo silenzio è un’aggravante, il respiro si torce e non arriva
alla fine. Trattengo tutto, soprattutto ciò che fa male. È muro di cemento armato
ti dico, perché da sola, la calce rompe, è il ferro che tiene che flette che piega,
poi torna, quasi in piedi, quasi mai. Il sacrificio tenuto dentro non è sacralità
è impegno discordante, la parola inutile – non ascoltata, non considerata adeguata,
troppa – non c’è ritorno uguale per me, quindi. Soltanto una continuazione zoppa,
rovinata, fessurizzata dal sale quando spacca – mi corrode la terra sotto ai piedi –
Il perdono, non posso declinarlo, non posso coniugarlo, è un cielo allargato male
un foglio bianco riscritto a metà. Sorridi, con i polmoni chiusi e i piedi dritti.
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#alfabetoebraico2
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Ammazzacaffè

Questo testo partecipa al concorso Ammazzacaffè organizzato dalla scuola di scrittura Penelope Story Lab

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Piove. Così è tutto più complicato, pensa.

Ci ha messo quasi nove ore per arrivare lì in un tempo decente, senza dare nell’occhio. Adesso non resta che richiudere la terra, quello spazio in cui ha ributtato gli ultimi pezzi rimasti. Non deve rammaricarsi, ha aspettato fin troppo, finalmente il posto è quello giusto, in cima al monte dove venivano sempre ogni anno, dove diceva che le sarebbe piaciuto vivere, ma di case non ne avrebbero potute avere.

La pala è piccola e la terra pesante, l’acqua porta via la parte più leggera e un temporale spacca la notte a pochi chilometri dalla strada giù in fondo.

Glielo ha promesso, non finirà insieme agli altri, che le sparpaglino pure, quelle ossa, lei deve restare intera.

La pioggia non smette. È tardi, in paese l’unico bar sta chiudendo, soltanto cinque minuti, un ammazzacaffè, per riuscire a tornare senza quel peso sullo stomaco.

#concorsoammazzacaffè

#ammazzacaffè

#penelopestorylab