Andare e tornare, la mia equazione esistenziale. In tutte le mie partenze c’è stata la scoperta di una realtà diversamente immaginata. Tornare, ogni volta, è stato fallimento, il rimbalzo, quello nel punto più basso, e quindi nessun confine, solo uno spazio vuoto senza accettazione. Nell’ultimo andare invece, ho scoperto di non poter tornare, non tornerò più, se non per quel collasso ricettivo, la trafittura della consapevolezza, riuscire ad accettarla, una resistenza anche quella, mi dico.Penso, adesso, che forse mi somiglia quel canto delle sirene, quel grido in superficie. Anche la liquidità, la stessa espressività lacrimale che copre i mesi in cui sono lontano dal mare.Non sto scrivendo. Il filo è un nodo, non quello solidificato di saliva, è un intreccio, tra le dita consumate, non riesco a tessere nessuna tela. Il buio carnivoro, qui, non è come la camera anecoica, è pieno di voci, di cose, di espulsioni, di condanne per peccati non commessi, per una femminilità che non deve usare parola ed essere sacrificale. Ecco che allora mi rimane la soglia, non so se sia un divenire, è vetro, è uno spazio recintato da cui non si esce, dentro cui l’identità è stata manomessa, un annullamento per accoglienza, il mio, la stessa frattura irreversibile. Cerco di ricreare una continuità che possa spezzare questa lamentazione temporale, tendo l’orecchio all’oscillazione allora, ma ancora non sento, non riesco a sentire, non posso, non riesco a capire il linguaggio di questi alberi spogli, di questa terra non mia. Non può esserci assorbimento in questo spazio freddo, la mia è disabitazione con coscienza di non appartenergli mai, sto zitta, non sono di qui.Le gambe stanche mancano nella spinta giusta sull’altalena, l’aria è consumata, non ci sono più foglie. Non so riconoscere il volo, è interpretabile questo mio telaio di postura esistenziale?Un paio di libri, le poche scale, tra i pilastri lucidi scorrono anni, lo hai visto, non era tutto, c’è dell’altro.Non è ancora tempo, forse, per lo sfondamento.
[e poi, mi dice che dobbiamo imparare ad essere all’altezza del niente, ad essere riconoscenti, un comandamento della poesia, e allora ringrazio questo tempo, quello che mi insegna, ogni volta, lei, Anna Maria]