Un giorno ti accorgi che è quello dopo.
La sensazione è la stessa del lunedì mattina, che non si capisce perché ma è sempre un inizio che parte a strappi. Anche se non lavori, anche se lo consideri tu come una domenica non funziona, è sempre lunedì.
Così certe storie, arriva il giorno in cui ti guardi intorno e cerchi qualcosa, non sai bene cosa ma sei sicura di averlo perso.
Si confonde il tempo, le gioie diventano sfocate, si resta a guardare fuori dai vetri. Il confine cambia, la luce si sottrae, arriva sempre novembre da lì a breve e tutto si ferma. Un po’ come una ruota che d’improvviso scricchiola, lascia un giro, poi due e si blocca, tra l’aria fredda che le passa attraverso.
Ecco, ci si trasforma, in un silenzio fatto di accondiscendenza, di consuetudini, di automatismi doverosi senza più domande. Soltanto la notte, quando il silenzio si fa più scuro, si ritorna indietro, un giro nel tempo in cui l’importanza di uno sguardo era presenza.
Poi l’alba, lo schiarire, il cielo infilato dai pini mentre ottobre t’inganna, l’aria ti tira dalla parte opposta e tu ancora in silenzio.
Uno strappo, la toppa, l’odio da una parte, il verde, l’autunno, è freddo, le crepe, i grigi, la pioggia, il vetro spesso, la stessa strada fino a casa. Poi ancora le case, degli altri, loro, i fiori, i portoni chiusi, il bianco e nero dei vicoli.
Fermo.
Il ritorno di alcuni, immagini che vanno all’indietro, chi sa, chi non capirà mai e nel mezzo la sera, a strisce, sui fili e dietro un controluce e poi, le curve, il verdenero, il marronescuro, lo spazio stretto, un controsenso senza il rosso.
Non è l’autunno, non si chiamano stagioni.
Il diradarsi della luce è una speranza.
Il voltarsi dalla parte del sole una promessa.
Ma tu rimani lì, con i piedi fermi, gli occhi chiusi, il fiato corto e un banalissimo vatuttobene.
(Paragrafi)
(Photo di Marina Baldoni)